Studio di drammatrugia a cura di Gigi Ottoni
Tratto da: Sei personaggi in cerca d’autore, I giganti della montagna, La giara, La patente, di Luigi Pirandello.
CON: Franco Bampi, Sandro Bampi, Eleonora Broll, Marianna Broll, Elisabetta Caldonazzi, Giovanni Caldonazzi, Susanna Caldonazzi, Maria Vittoria Careri, Roberto Claudiani, Emma Corn, Fabio Eccel, Marisa Gadotti, Alberto Losa, Stefano Nadalini, Daniela Pontalti, Anna Zannella
Nell’analizzare l’opera scenica di Pirandello, La Giara è la prima fuga nella memoria e nel ricordo, fuga dalla vita e dai fantasmi che la assediano. La commedia è del 1916: tempo di guerra.
Pirandello sembra quasi intrappolato nella sua stessa vita. Un figlio prigioniero, la madre appena morta, la moglie ormai persa dentro un vuoto dove nessuna voce può raggiungerla. L’uomo rimasto prigioniero dentro la giara è una delle trovate sceniche, visive e gestuali, più felici del teatro pirandelliano.
Creatura del diavolo è la giara e forse diavolo lui stesso - quel conciabrocche dentro - ladro involontario della roba altrui ed al tempo stesso un folletto, al pari di quelli annidati dentro bottiglie o lampade, che con le sue argomentazioni, da dentro la giara, contrasta e distrugge di volta in volta le argomentazioni esterne, giuridiche, codificate, di Don Lollò e del suo avvocato.
La giara è anche l’involucro della nascita, l’utero, ed è insieme la tomba: i Siculi seppellivano i loro morti, in posizione fetale, dentro giaroni. Ma Zì Dima non muore, sapiente, dialettico e sarcastico, vince e rinasce nello splendore di un plenilunio. E quell’olio che la giara avrebbe dovuto contenere viene sì dall’ulivo saraceno, ma viene anche dall’albero sacro ad Atena, dea della sapienza. L'ulivo saraceno è anche un ulivo del Caos, la terra dove Pirandello vide la luce e riappare nella notte che precede la morte su di un palcoscenico del palcoscenico, in un terzo atto mai scritto, quello dei Giganti della montagna di cui si reciterà l’ultima favola .
Ed è appunto con quest’altra opera e con frammenti di altre che il lavoro di questa nostra messa in scena ha cercato e individuato punti di contatto.
Ad esempio con la Fantasia che nel pensiero Pirandelliano è importantissima e - forse insieme alla follia - rappresenta l’unica via dell’uomo per estraniarsi dalla realtà quotidiana, quasi come una liberazione, una soluzione al problema dell’esistenza.
Scriveva Pirandello: “I Giganti della montagna“ sono il trionfo della fantasia, il trionfo della poesia, ma insieme anche la tragedia della poesia in mezzo a questo brutale mondo moderno.
Abbiamo così proposto questa ipotesi di lavoro scenico attraverso una formula inusuale di “lettura e rappresentazione in scena“ non solo di alcuni brani dell’opera ma anche delle idee derivate dall’analisi e dallo studio di essi. E quindi l’offerta al pubblico di questo percorso di lavoro sulla scena, rimanda non tanto ad un insegnamento ricevuto, poiché il teatro, nel suo assoluto, non si può insegnare ma solo trasmettere, quanto piuttosto alla liberazione dell’estro, all’apertura alla creatività e ad una maggiore consapevolezza della tecnica.
IDEA SCENOGRAFICA | Roberto Claudiani |
LUCI | Michele Gennari |
MUSICHE | Francesco Caldonazzi |
SCENOGRAFIA REALIZZATA DA | Franco Bampi, Giovanni Caldonazzi, Alberto Losa |
TRUCCO | Tamara Scarano, Anna Zanella |